You are here: Home Approfondimenti Cultura NEL GIUGNO DEL 1944 NASCOSTO IN UN CONVENTO A PIAZZA DI SPAGNA VIDI I TEDESCHI SCAPPARE DA ROMA
La memoria di Giacomo Limentani non è affatto arrugginita, ricorda, infatti, che dal 16 ottobre aveva preso il nome di Giacomo Marchi per camuffare il cognome ebraico. "I documenti falsi ce li aveva dati un sacerdote, don Barbieri, che aiutò tonnellate di persone. Andai a ritirare io vicino via Goito la carta d'identità di mia madre: la aprii, ed era quella di un amico di famiglia. Così sapemmo che era vivo". Poi l'8 settembre: "Le cannonate in via Dandolo, con i proiettili esplodenti dei tedeschi. Raccoglievamo le schegge in viale Glorioso". Limentani, che lavora ancora nel settore tessile, racconta la sua nascita a Testaccio "in via Gustavo Bianchi, testaccino e romanista" e la scuola: "Fino alla seconda elementare alla Polacco, che era dove ora si trova la John Cabot. Poi, giustamente, fu chiusa". Giorno 16 ottobre: "Una zia di mia madre ci buttò fuori di casa per proteggerci. I tedeschi avevano gli elenchi di tutti gli ebrei di Roma: il rastrellamento non fu solo nel ghetto. Ci nascondemmo per 10 giorni nell'ufficio di mio padre in via in Lucina: vivemmo come Anna Frank, mia madre faceva la minestrina sul ferro da stiro. Una notte venne a dormire da noi un medico amico: eravamo cianotici. Non prendevamo aria da un mese e la notte uscimmo in terrazza. Temevamo che il portiere potesse denunciarci, così scappammo e finimmo in via Salaria, a casa di amici per 10 giorni: davanti c'era una sede delle Ss. Poi io e i miei familiari ci dividemmo nei vari conventi: Papa Pacelli aveva permesso che gli ebrei romani fossero ospitati in strutture cattoliche purché pagassero. Dalle suore di Ravasco c'erano altri ebrei, come l'attuale presidente dell'Ucei Renzo Gattegna con la madre, ma anche gentili, come la moglie di Roberto Rossellini con i figli Romano e Renzino che erano miei compagni di giochi. L'idea di "Roma città aperta" è nata in quei mesi".
"Roma era oscurata: le finestre erano sigillate, i pali delle luci spente. Nelle strade gli agenti dell'Umpa avevano i caschi della guerra '1518. Sulla terrazza del Pincio c'era invece la Pai, la polizia dell'Africa italiana con le divise estive anche quell'inverno". A Roma arrivavano le truppe angloamericane: "Il colonnello Dollmann, vero capo dei tedeschi, viveva in una pensione a 5 stelle nella stessa strada del mio convento. Il pomeriggio del 3 giugno vedemmo una Mercedes decappottabile che veniva riempita di corsa con i suoi bagagli, e poi la sua fuga. Capimmo che qualcosa stava per accadere. La notte davanti a palazzo Koch vi fu uno scontro tra un carroarmato degli Alleati e truppe tedesche". Ed ecco il 4 giugno. "Sentii gridare "ci sono gli alleati". Mi affacciai dalla solita finestra e sulla passeggiata del Pincio vidi delle divise grigioverdi come quelle tedesche. Erano soldati brasiliani che le avevano uguali a quelle del Fuhrer. Ricordo i battimani, i mezzi alleati che sfilavano in via del Corso, ma anche le botte per accaparrarsi i primi chewing gum, le caramelle col buco, la cioccolata, le sigarette diverse da quelle che fumavano gli italiani sotto il regime. Tanti si sentirono male. E poi le truppe inglesi e sui loro camion i soldati indiani, con le barbe e i turbanti. Gli americani di colore: non avevo mai vistoun nero prima. Gli ufficiali però erano sempre bianchi". Infine il ritorno in via Dandolo: "Ci vollero 20 giorni. La casa era stata occupata degli sfollati. Nel nostro bagno c'era una gallina. Però eravamo felici di essere vivi, tutti assieme, e liberi".
Firmato MC Rota