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Monday, 26 September 2011 00:00

A TESTA BASSA VERSO IL BARATRO

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BROMLEY_euro-endDopo l'allarme dell'Fmi i governi europei si sono impegnati ad adottare "tutte le misure necessarie" per evitare il collasso dell'Eurozona. Ma tutto fa pensare che continueranno sulla strada percorsa finora: quella sbagliata.

É possibile essere allo stesso tempo atterriti e annoiati? È così che mi sento di fronte ai negoziati in corso su come rispondere alla crisi economica dell’Europa, e sospetto che altri commentatori condividano questo stato d'animo.

Da un lato la situazione dell’Europa è preoccupante, molto preoccupante: ora che la speculazione attacca paesi che contribuiscono a un terzo dell’economia della zona euro, è a rischio l’esistenza stessa della moneta unica – e un crollo dell’euro infliggerebbe enormi danni in tutto il mondo.

Dall’altro lato, i policymaker europei paiono intenzionati a rispondere allo stesso modo. Probabilmente troveranno il modo di offrire altro credito ai paesi nei guai, il che potrebbe anche scongiurare il disastro imminente. Ma non sembrano pronti ad ammettere un dato di fatto cruciale, ovvero che senza politiche fiscali e monetarie più espansionistiche nelle economie più forti d’Europa, tutti i loro tentativi di salvataggio falliranno.

Che fare, allora? La risposta dell’Europa [alla crisi e al crollo della fiducia degli investitori nei bond degli stati periferici] è stata esigere dai paesi nei guai con il debito l’attuazione di una dura austerity fiscale, in particolare drastici tagli alla spesa pubblica,  offrendo al contempo finanziamenti d'emergenza finché non tornerà la fiducia degli investitori privati. Questa strategia può funzionare?

Non per la Grecia, che negli anni buoni in effetti fu molto prodiga dal punto di vista fiscale ed è indebitata molto più di quanto sia in grado di ripagare. Quasi certamente non per l’Irlanda e il Portogallo, che per ragioni diverse hanno anch’essi un pesante fardello di debiti. Ma in un contesto favorevole – nello specifico un’economia europea sostanzialmente forte, con un’inflazione moderata – la Spagna, che perfino adesso ha un debito relativamente basso, e l’Italia, che ha un forte indebitamento ma deficit sorprendentemente bassi, potrebbero anche cavarsela.

Purtroppo, i policymaker europei paiono determinati a negare ai paesi debitori quel contesto di cui avrebbero bisogno. Mettiamola così: la domanda privata nei paesi debitori è crollata con la fine del verso boom finanziato dal debito. Nel frattempo la spesa del settore pubblico è stata anch’essa drasticamente ridotta dai programmi di austerity. Ma allora da dove dovrebbero saltare fuori i nuovi posti di lavoro e la crescita? La risposta deve essere “dalle esportazioni”, soprattutto verso gli altri paesi europei.

Il fatto è che le esportazioni non possono crescere se anche i paesi creditori adottano politiche di austerity, contribuendo a spingere l'Europa intera di nuovo nella recessione. Oltretutto, le nazioni debitrici dovrebbero tagliare prezzi e costi nei confronti dei paesi creditori come la Germania. Ciò non sarebbe troppo difficile se la Germania avesse un’inflazione al 3 o al 4 per cento, il che permetterebbe ai debitori di guadagnare un po’ di terreno semplicemente con un’inflazione inferiore.

Ossessione deflazionistica

Ma la Banca centrale europea ha un'ossessione deflazionistica: ha commesso un errore madornale alzando i tassi d'interesse nel 2008, proprio quando la crisi finanziaria si stava aggravando, e ripetendo lo stesso errore quest’anno ha dimostrato di non avere ancora imparato nulla.

Di conseguenza il mercato si aspetta in Germania un’inflazione molto bassa – intorno all’1 per cento per i prossimi cinque anni – il che implica una significativa deflazione nelle nazioni debitrici. Ciò non potrà che accelerare la loro caduta e accrescere il carico reale dei loro debiti, garantendo o quasi il fallimento di tutti i tentativi di salvataggio. E non vedo alcun segno che le elite europee siano disposte a ripensare il loro dogma di denaro costoso e austerity.

Parte del problema potrebbe essere che quelle élite hanno una memoria storica selettiva: amano ricordare l’inflazione tedesca dei primi anni venti – una storia che non ha niente a che vedere con la situazione attuale. Ma non parlano mai di un esempio molto più calzante: le politiche di Heinrich Brüning, cancelliere tedesco dal 1930 al 1932, che insistendo sul pareggio del bilancio e sul rispetto del gold standard fece della Germania il paese europeo più colpito dalla Grande Depressione, preparando il terreno a ciò che ben sappiamo.

Non prevedo nulla di così terribile per l’Europa del ventunesimo secolo. Ma c'è un divario abissale tra ciò di cui l’euro ha bisogno per sopravvivere e ciò che i leader europei sono disposti a fare o anche solo a prendere in considerazione. E di fronte a ciò è difficile trovare di che essere ottimisti.  (traduzione di Anna Bissanti)

by Paul Krugman  - New York Time
Read 1083 times Last modified on Tuesday, 23 July 2013 21:59
Grota

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