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Friday, 17 June 2011 09:36

McLuhan .IL TEORICO DEI MEDIA CENT'ANNI DOPO

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Medium_M._McLuhanIl sociologo, nato nel 1911, è diventato un brand. Ecco come lo racconta la biografia scritta da Coupland, autore di "Generazione X"  Perché cent´anni dopo il teorico dei mass media è ridotto a uno slogan  Le sue idee sono una canzone di cui conosciamo la melodia ma non il testo completo  Nella misura in cui ricorda le persone, la storia ha bisogno di etichettarle. McLuhan è etichettato per due idee in seguito diventate luoghi comuni: «il medium è il messaggio» e «il villaggio globale».

 

Ha fatto molto di più, ma queste parole sono il suo marchio di fabbrica, per così dire. «Il medium è il messaggio» significa che il contenuto visibile di tutti i media elettronici è irrilevante; è il medium in sé e per sé ad avere l´impatto maggiore sull´ambiente, fatto rafforzato dalla constatazione ormai inconfutabile in termini medici che le tecnologie che utilizziamo quotidianamente, dopo un po´, cominciano ad alterare il funzionamento del nostro cervello e di conseguenza il modo in cui facciamo esperienza del mondo. Lasciate perdere il contenuto apparente, per dire, di un programma televisivo. L´unica cosa che importa è che state guardando la tv in quanto tale a spese di qualche altra tecnologia, magari i libri o Internet. I media con cui effettivamente scegliamo di trascorrere il nostro tempo modificano di continuo i modi in cui poniamo l´attenzione sui nostri sensi: la vista rispetto all´udito e rispetto al tatto, su una scala così ampia e su un arco di tanti secoli che ci è voluto almeno un decennio dopo la morte di Marshall per dimostrare che aveva ragione, grazie al trionfo di Internet.L´altro luogo comune di Marshall, «il villaggio globale», è un modo per parafrasare il fatto che le tecnologie elettroniche sono un´estensione del sistema nervoso centrale umano e che la circuitazione neurale collettiva del nostro pianeta potrebbe dare origine a un´unica grande metacomunità indistinta, cumuliforme e pseudosenziente attiva, ventiquattr´ore al giorno e sette giorni su sette.E va ricordato che Marshall è arrivato a queste conclusioni non frequentando, per dire, la NASA o la IBM, ma piuttosto studiando oscuri libellisti della Riforma del XVI secolo, le opere di James Joyce e gli studi rinascimentali sulla prospettiva. Era un maestro nel riconoscere i modelli ricorrenti, l´uomo che picchia su un tamburo così enorme che si riesce a suonare solo una volta al secolo.C´è anche una terza idea che va ricordata qui: l´uomo nel suo ufficio fresco e silenzioso, che permette a un´ape di uscire dalla finestra, un tempo era una superstar. In un certo momento a metà degli anni sessanta aveva smesso di essere semplicemente un accademico noioso di Toronto. Era diventato un brand a diffusione mondiale, famoso e sintetico e frainteso e travisato tanto quanto il suo collega Andy Warhol, artista e creatura dei media degli anni sessanta. I mass media adoravano Marshall perché le sue intricate posizioni teoriche riuscivano al tempo stesso a confonderli e a lusingarli. All´inizio degli anni sessanta non esistevano corsi di studio sui media; li inventò letteralmente Marshall. E, come spiegato da C.P. Snow nel suo Le due culture, non c´era collegamento fra la cultura alta e la cultura pop, o fra gli studi letterari e artistici e quelli scientifici e tecnologici, e ciascuno dei due disprezzava l´altro. Ma Marshall vedeva il mondo come totalmente interconnesso e si sforzava di riunire insieme tutte le forme di cultura, e forse è per questo che le sue idee hanno resistito al passare degli anni dopo la sua morte nel 1980, mentre altre sono svanite.All´inizio della sua ascesa verso la celebrità, quando suggeriva per la prima volta dei modi per comprendere i nuovi media, Marshall veniva spesso ridicolizzato dall´establishment per quello che sembrava volesse dire, o perché lo diceva in modi che facevano pensare che ci volesse un traduttore. E negli ultimi dieci anni della sua vita la celebrità era calata e per certi versi era diventato il peggior nemico di se stesso, impegnato a difendere le proprie teorie sopravvalutandole a dismisura e a chiarirle rendendole così succinte e aforistiche che assomigliano a un linguaggio quasi esoterico.Di conseguenza, in questi ultimi tempi la maggior parte di quelli che conoscono McLuhan di nome ha solo una vaga idea di quanto abbia detto e fatto, e in più queste vaghe idee si basano su informazioni di seconda, terza, quarta ed ennesima mano. Il suo stile di pensiero e scrittura si presta benissimo alla parodia. Ma il guaio delle parodie è che dimostrano che un determinato stile è così potente che si può... be´... farne la parodia. La parodia è un complimento indiretto da parte di gente che crede di fare una stroncatura.In un certo senso le idee di McLuhan sono diventate come una canzone di cui conosciamo tutti la melodia ma non il testo completo, e quindi in lui leggiamo qualsiasi cosa ci venga in mente. Scordatevi i mediocri attori che si pavoneggiano: la vita nel XXI secolo è un karaoke, il tentativo senza fine di mantenere una dignità di fronte a un vortice di dati che scorre incontrollabile su uno schermo.È significativo notare che gli ammiratori di Marshall in genere siano dei fanatici. Per loro quest´uomo diventa amico e guida personale, un aiuto per decodificare il karaoke della vita moderna con un fervore elettrico. È questo fervore a convincermi che Marshall fosse in sostanza un artista, qualcuno che usava idee e parole nel modo in cui altri avrebbero usato la pittura. E quando parlava nelle aule universitarie o davanti agli attoniti dirigenti dell´AT&T o ai freak scoppiati della Bay Area, la sua era performance art del massimo calibro.Questo è a grandi linee cosa abbiamo pensato di lui. Ma cosa penserebbe lui di noi? Secondo me resterebbe sconvolto nel vedere confermate le sue teorie a così tanti livelli, oltre che felicissimo di vivere nell´eternità invece che nel nostro futuro quotidiano. Marshall odiava il mondo moderno e detestava la tecnologia, ma questo non gli ha mai impedito di provare un interesse ossessivo per il mondo che questa generava e un desiderio fanatico di comprenderlo.Marshall era capriccioso e ostinato, e molto probabilmente viveva troppo all´interno della propria mente per essere veramente simpatico (anche se personalmente non dubito che del concetto di simpatia non potesse importargli di meno). Ma ragazzi-ragazzi-ragazzi, com´era bravo a mettere insieme le parole in un modo che oggi appare come un poema intricato e favoloso! E poi vedeva il mondo come un libro creato da Dio ed era convinto che nulla al suo interno fosse impossibile da comprendere, e non essere in grado di comprenderlo è a proprio rischio e pericolo.© Isbn Edizioni S.r.l. Milano 2011

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