La trama si sviluppa in un doppio filone, quello di Falstaff, esuberante e simpatico cialtrone perennemente a corto di quattrini, che fa la corte a due ricche signore con l’intento di spillar loro del denaro, e quello della giovane Anna Page, i quali genitori cercano insistentemente di maritare.
Caratteristica principale dell’opera è senz’altro la sua doppia natura. Da un lato fornisce un autentico spaccato della società provinciale inglese, per la sua ambientazione, la sua atmosfera, il muoversi dei personaggi e il loro stesso dialogare (il linguaggio è infatti estremamente colloquiale, più di ogni altra commedia di Shakespeare, ed è ricco di riferimenti a luoghi, persone e usi che dovevano esser familiari ai londinesi del tempo); dall’altra il tema centrale della beffa intorno agli sfortunati tentativi di seduzione del protagonista e quello della gelosia coniugale erano già stati abbondantemente sfruttati dalla novellistica italiana (ritroviamo ad esempio l’episodio della cesta del bucato nella raccolta Il Pecorone di Giovanni Fiorentino, che il bardo terrà ben presente anche per la stesura de Il mercante di Venezia).
Le allegre comari di Windsor si rivela dunque una commedia umida di acqua del Tamigi, ma al contempo odorosa di panni sporchi, di crapula, vino e di quella viziosa e bonaria disonestà tutta boccaccesca. Disonestà che costerà cara a Falstaff non tanto per le beffe delle allegre comari, quanto per la vendetta, inappellabile, di Madre Natura.
La costatazione dell’inglorioso passare del tempo e dell’ineluttabile sopraggiungere della vecchiaia che, pur lasciando intatti i desideri, annienta la forza di realizzarli, gli lascerà null’altro che un ricordo “Quand’ero paggio/ del Duca di Norfolk ero sottile,/ ero un miraggio,/ vago, leggero, gentile, gentile./ Quello era il tempo/ del mio verde Aprile…”