A gettare ombre su quanto accadde la notte del 28 del luglio precedente nell’ospedale romano di ’Santo Spirito in Sassia’ anche il ritrovamento in un cestino della spazzatura della parte finale del tracciato del monitoraggio del travaglio e del parto: un possibile tentativo di occultamento. Il piccolo, spiegano i periti, aveva due giri di cordone ombelicale attorno al collo e fin dalle prime fasi del travaglio ha sofferto di una ’grave mancanza di ossigeno’.
Ipossigenazione che, prolungata, ha provocato un danno giudicato "vasto e irreversibile alla corteccia cerebrale" che ha portato Gabriele alla morte. I genitori di Gabriele, da subito, hanno denunciato l’accaduto e hanno chiesto perché i medici non siano intervenuti con un taglio cesareo. Parte del mistero starebbe proprio in quel nastro cartaceo con il tracciato del monitoraggio. Quei 90 minuti finali di registrazione testimonierebbero che forse sarebbe stato possibile intervenire. La madre di Gabriele si era presentata autonomamente al Santo Spirito per quello che sembrava un normale parto a termine e durante il quale non erano state registrate irregolarità o anomalie particolari salvo una minaccia di parto pretermine poche settimane prima, ma poi rientrata. Durante le fasi di travaglio e parto, spiega il legale della famiglia Gnessi, Rodolfo Spanò "tutto è andato male e Gabriele è nato più morto che vivo.
Abbiamo chiesto la sospensione cautelare dal lavoro di medici e ostetriche intervenuti durante il parto ma senza successo". La direzione sanitaria del Santo Spirito, pur non entrando nel merito della vicenda, afferma di attendere con fiducia l’esito delle indagini della magistratura e di aver "cristallizzato" quanto avvenuto quella notte. Quanto ai provvedimenti cautelativi di sospensione, spiegano, "non sono eseguibili fino a sentenza definitiva di condanna".